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AL SOLDO DELLA   “CHIESA e VENEZIA”


[B] 5^ sestina, 5^ riga    ROBERTO MALATESTA (Roberto il Magnifico) Signore di Rimini, Cesena, Meldola, Sarsina, Bertinoro, Bellaria, Rocca delle Caminate. Figlio naturale di Sigismondo Pandolfo, padre di Pandolfo e di Carlo, nipote di Domenico, genero di Federico da Montefeltro, cognato di Carlo di Montone e di Rodolfo Gonzaga. (Roma, sett. 1437 - †10 sett. 1482)
Dopo varie traversie a Rimini, nel 1475 sposa Elisabetta da Montefeltro, figlia di Federico duca di Urbino.
Roberto ereditò le virtù guerresche dei maggiori Malatesta e, Firenze e Venezia gli affidarono la sorte delle loro armi, col grado di generale della Serenissima mosse verso il ferrarese, saccheggiò le città di Bagnacavallo e Fossignano; è chiamato a Roma dal pontefice Sisto IV, in difficoltà a far fronte alle milizie di Alfonso d’Aragona ed dei Colonna che hanno invaso lo stato della Chiesa: qui viene nominato comandante dell’esercito pontificio.
Nel giugno 1482 parte dalla Romagna con 2400 cavalli, 200 balestrieri veneziani ed il provveditore Piero Diedo. È agosto quando muove da Roma alla testa di 34 squadre di cavalli, di 2 squadroni di balestrieri a cavallo, 5000 archibugieri e più di 8000 fanti. Si allontana dal campo posto vicino agli acquedotti situati fuori porta San Giovanni, fa la rassegna delle truppe alla tomba di Cecilia Metella, si dirige verso i Colli Albani. Riconquista per strada le città di Albano e Castelgandolfo dove si congiunge con le compagnie di ventura di Jacopo Conti, di passaggio a Velletri assolda 500 uomini tra cui 250 Balestrieri, considerati tra i migliori dell’intero stato, con l’aggiunta di coloni e capitani esperti conoscitori della zona palustre.
Il Malatesta divide l’esercito in sette schiere e si pone al comando del sesto squadrone
([G] 32^ sestina, 3^ riga) e marcia verso il nemico.
Da Lanuvio, Alfonso d’Aragona arretra alla volta di Torre Astura e pianta le tende nei pressi di San Pietro in Formis, protetto da pianure boscose, da paludi e da due torrenti. La battaglia avviene a Campomorto, dove si scontrano da una parte 4500 tra cavalieri, 300 arcieri, e 6000 fanti e da quella aragonese 2500 cavalli e 1500 fanti.
Il Duca colloca la cavalleria al centro, la fanteria alle ali e l’artiglieria sui rialzi del terreno. La mattina sono respinti gli attacchi portati dalla fanteria pontificia prima e dalla cavalleria poi; il Malatesta sostituisce le schiere stanche del combattimento con altre fresche e piomba nuovamente sul nemico. Gli aragonesi reagiscono, ma sono costretti a ripararsi dietro il secondo fossato: a questo punto si ha la fase decisiva della battaglia, 200 cavalli leggeri e 1500 fanti, condotti da Jacopo Conti, che nella notte avevano aggirato la zona boscosa, riescono a prendere al fianco i napoletani.
Lo scontro, che dura sei ore, risulta uno dei più sanguinosi della seconda metà del ‘400 in quanto rimangono sul terreno circa 1500 morti: gli aragonesi, in particolare, subiscono la perdita di oltre 1300 uomini tra morti e feriti, più di 300 uomini d’arme sono inoltre catturati. Alcune compagnie di ottomani sono costrette alla resa, e, passano immediatamente al soldo dei pontifici per aver salva la vita. Il loro sultano Bayazid II e il Duca di Calabria si salvano fuggendo con pochi uomini; il Malatesta, cade nello scontro, a causa del cavallo ferito dall’artiglieria, aiutato prontamente dai suoi si riporta al comando della battaglia.
Il trionfo, con il quale fu accolto a Roma, fu degno di un vincitore, e come già detto, Sisto IV lo attendeva all’ingresso del Vaticano.
Roberto Malatesta, che è ospite nel palazzo del cardinale di Milano Stefano Nardini (o palazzo del Governo Vecchio), muore di malaria non senza sospetto di sostanza letale, il 10 settembre 1482 (alcuni parlano di veleno dei Veneziani, altri di quello dei Turchi, altre voci di veleno fattogli somministrare per invidia dal Riario). Fu sepolto con sontuose onoranze tributategli dal Papa, in S. Pietro.
Capitano valorosissimo, uno dei migliori del secolo. Molto umano con i soldati. Se fosse vissuto più a lungo avrebbe rinnovato l’arte militare in Italia. Generoso, giusto, intelligentissimo, diplomatico ed amante del bene comune.
Fu il più simile al padre di tutti i suoi fratelli, quello che con le migliori ragioni poteva proclamarsi suo erede: dissimile in certe cose, ma uguale nel maneggiare le armi. Conversatore acuto, innamorato dell’arte e della cultura.
Di media statura, volto bianco, occhi azzurri e capelli castani.

   
 

"Roberto Malatesta" dett. affresco Cappella Sistina - 1481-1482
Autore ? - Domenico Ghirlandaio o Cosimo Rosselli o Biagio Tucci

 

GIROLAMO RIARIO (Savona 1443 - †Forlì 1488) Nipote di papa Sisto IV, è effigiato secondo da sinistra nell’affresco di Melozzo da Forlì. Nel 1473 fu organizzato il suo matrimonio con Caterina Sforza, figlia illegittima di Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano, e di Lucrezia Landriani, matrimonio celebrato nel 1477, data la giovane età della fanciulla.
A Girolamo, Sisto IV procurò la signoria di Imola (1473), città nella quale Caterina entrò trionfalmente nel 1477. Dopo di che, i coniugi si recarono a Roma, dove Girolamo ottenne anche la signoria di Forlì, a scapito della famiglia degli Ordelaffi. I nuovi signori di Forlì cercarono di guadagnarsi il favore popolare con una politica di costruzione di opere pubbliche ed abolendo parecchie tasse.
Nel 1478, fu uno degli organizzatori della Congiura dei Pazzi, per uccidere Lorenzo de’ Medici e suo fratello: il progetto prevedeva che proprio Girolamo dovesse assumere la signoria di Firenze alla morte di Lorenzo.
Nel 1482 deluso per la vicenda di Firenze rivolse le sue mire espansionistiche a Ferrara e al suo territorio e dopo un accordo con lo zio Sisto IV decise di andare a Venezia per convincere la città, acerrima nemica degli Estensi, ad attaccarli; così ebbe inizio la Guerra di Ferrara.
La morte di Sisto IV (12 agosto 1484), ed il venir meno dei redditi che il servizio al Papa garantiva, costrinsero il Riario ad aggravare le tasse che la popolazione di Forlì riscontrò come esose.
Girolamo venne ucciso, nel 1488, da una congiura capeggiata dalla nobile famiglia Orsi di Forlì: il palazzo fu saccheggiato, mentre Caterina Sforza ed i figli venivano presi prigionieri. Poiché la Rocca di Ravaldino, cittadella centrale nel sistema difensivo della città, rifiutava di arrendersi, Caterina si offrì, subdolamente, di entrare a convincere il castellano. Gli Orsi si fidarono, sulla base del fatto che avevano i figli in ostaggio. Ma, una volta dentro, Caterina rifiutò di ascoltarli e si preparò alla riconquista del potere, incurante delle minacce sui figli. Sull’episodio, nacque anche una leggenda le cui basi storiche non sono sicure: stando sulle mura della Rocca, avrebbe risposto a chi minacciava di ucciderle i figli, se non si fosse arresa: “Fatelo pure” - e, sollevandosi le gonne e mostrando con la mano il sesso - “Ho con me lo strumento per farne degli altri!!”
Di fronte a tanta spavalderia, gli Orsi non toccarono i giovani Riario.


JACOPO CONTI Conte di Valmontone. Signore di Artena. Padre di Cesare, fratello di Andrea, cugino di Giovanni, suocero di Giampaolo Baglioni, cognato di Orso Orsini. (†1500 ca.)
Nell’estate del 1481 è assoldato da Napoli per combatte i turchi nella guerra di Otranto. Si pone con Ignazio d’Avalos davanti alla rocca della città.
Nel giugno del 1482, Jacopo Conti fonda la sua compagnia di ventura, a cui aderiscono i resti delle truppe Orsini e si schiera con il papato, Roberto Malatesta lo incarica di condurre la campagna contro i Colonna, mentre lui si reca a Ferrara.
Lascia Quinto (la pianura al Km cinque della via consolare Flaminia) ed entra in Roma per accamparsi in San Giovanni in Laterano. Ne esce dopo qualche giorno, per effettuare con altri condottieri una sortita nella quale sono catturati 30 uomini. A fine mese, affianca Girolamo Riario con 3000 romani e giunge alla tomba di Cecilia Metella: cerca l’impatto con gli aragonesi che, viceversa, si ritirano, invece si scontra sull’Appia Antica con le truppe colonnesi, che cercano di entrare a Roma da porta S. Sebastiano. È vittoria strepitosa, e tra i prigionieri c’è Fabrizio Colonna, che viene trascinato in catene nel Palazzo Apostolico.
Quindi il Conti occupa Zagarolo, che è ancora un cumulo di macerie, provocate dal cardinal Vitelleschi nel precedente scontro contro i Colonna.
A chi lo accusa di non voler attaccare Palestrina ribatte: «Palestrina va conquistata come un fiore, petalo per petalo».
Poi in fine luglio combatte Niccolò Vitelli a Città di Castello. È agosto quando è contattato da Prospero Colonna, che milita nel campo avversario, per il rilascio del fratello Fabrizio: con i suoi arriva ad Artena e la difesa nemica viene fatta prigioniera. Vengono catturati 40 lance e 60 fanti. Agli ordini di Malatesta, partecipa allo scontro di Campomorto nel quale, alla testa di 8 squadre, ha un ruolo decisivo. Guidato dai contadini rurali veliterni, e boattieri esperti della campagna, il Conti con le truppe giunge a ridosso dei boschi di Campomorto la notte precedente la battaglia, senza che il nemico se ne accorgesse: al comando di una schiera (1500 fanti , 200 cavalli leggeri), attraversa di lato la zona boscosa e paludosa, ed al segnale convenuto prende le truppe turche alle spalle e di fianco. Bayazid II, per evitare di essere preso nella morsa, e visto le gravissime perdite, fugge con pochi turchi fidati verso il mare per arrivare in barca a Terracina.
Poi in ottobre, il Conti occupa Cave e vi fa 200 prigionieri, sono uccisi una gran parte dei giannizzeri che militano con gli aragonesi, i prigionieri con la taglia sono 70: il loro riscatto è tutto devoluto alla Camera Apostolica. Si impadronisce, successivamente, dei castelli di Vico nel Lazio e di Giuliano di Roma (Giulianello) che appartengono ai Colonna; in seguito, punta su Pontecorvo e fronteggia sui confini dello stato pontificio Federico d’Aragona, fermo a Terracina con 10 squadre di uomini d’arme e molti fanti.


GIULIO CESARE DA VARANO Signore di Camerino, Nocera Umbra. Figlio di Giovanni, padre di Annibale, Venanzio e Giovanni Maria, zio di Carlo Baglioni, genero di Sigismondo Pandolfo Malatesta, suocero di Muzio Colonna. (1434 - †ottobre 1502)
Per tutta la seconda metà del ‘400 è un’eccezionale figura per il suo ducato. Capitano di eserciti al soldo delle grandi potenze peninsulari, politico acuto e spregiudicato, mecenate generoso, seguace del grande Federico da Montefeltro, ma meno fortunato nel rispetto storiografico.
Nel giugno 1482 lascia Quinto con Giordano Orsini e Girolamo Riario ed entra in Roma. Si accampa in San Giovanni in Laterano; dopo qualche giorno si porta a Perugia per controllare i movimenti di Giovanni Vitelli, che si è impadronito di Città di Castello con l’aiuto dei fiorentini capitanati da Costanzo Sforza. Nell’agosto fronteggia i colonnesi ed aragonesi e prende parte alla battaglia di Campomorto agli ordini di Roberto Malatesta.
Fu lui a completare il Palazzo ducale di Camerino. Alla sua morte nel 1502 lo Stato di Camerino è conquistato da Cesare Borgia. I maschi Da Varano, fatti prigionieri, sono trucidati in carcere. Si salva Giovanni Maria, ultimo figlio di Giulio Cesare, che, nel 1503 rientra in possesso ducato, e grazie al matrimonio con Caterina Cibo, figlia di Maddalena de’ Medici e quindi nipote di Leone X, ottiene da questo pontefice enormi vantaggi.
Illustre guerriero. Uno dei più famosi capitani del suo secolo. Molto amato dai suoi soldati.

   
 

"Giulio Cesare da Varano" busto

 

VIRGINIO ORSINI (Virginio Gentile Orsini) Duca di Bracciano. Conte di Albe e di Tagliacozzo. Conte di Campagnano. Signore di Vicovaro, Cerveteri, Avezzano. Figlio di Napoleone, padre di Carlo e Gian Giordano, cognato di Nicola Gaetani e di Bartolomeo d’Alviano, genero di Roberto Orsini. (1445 ca. - †gennaio 1497)
Agli ordini del Malatesta, prende parte alla battaglia di Campomorto dove ha con Paolo Orsini il comando del secondo squadrone forte di 400 cavalli. Insieme, mettono in fuga 500 arcieri turchi, che difendono gli sbarramenti. Dopo la vittoria, segue il Malatesta nel suo ritorno a Velletri poi il trionfo con i prigionieri a Roma: gli aragonesi gli confiscano le contee di Albe e di Tagliacozzo, che restituiscono ai Colonna. Maestro di milizia dalla cui scuola uscirono molti allievi fra Orsini, Conti, Vitelli, Anguillara e Baglioni. Esperto uomo di guerra. Famosissimo capitano del suo tempo. Tipico rappresentante di quei capitani di ventura avvezzi a vedere nella guerra un’operazione finanziaria e diplomatica, elementi negativi nella storia dell’arte militare di quel tempo. Sommo intrigante. Condottiero di molta reputazione. Valoroso in guerra e famoso per la sua prudenza e lentezza che allora teneva quasi luogo di scienza. Liberale, illustre in pace per magnificenza di modi, ed abbondanza di averi. Turbolento barone romano. Considerato alla pari di sovrani. Di selvaggio vigore, di giusta statura, assai robusto e grassoccio, volto rubicondo, occhi azzurri e capelli neri.


GIAN FRANCESCO DA TOLENTINO (Gian Francesco Mauruzzi) Conte di Valdoppio e di Civitella. (†agosto 1487)
Agli inizi dell’anno 1482 è richiamato a Roma per altri incarichi. Da Roma parte per Cesena e Forlì per ristabilirvi l’ordine per conto del Riario.
Nel maggio combatte gli Estensi nel territorio di Bagnacavallo con Roberto Malatesta. In luglio lascia Traversara ed Imola e raggiunge il Malatesta nel campagna di Città di Castello: alloggia al Busco del Baco con 8 squadre di cavalli e molti fanti. Combatte i fiorentini e Niccolò Vitelli, finché non è richiamato a Roma per le minacce portate alla città dagli aragonesi. Passa per la piana di Quinto ed entra in città, pone i suoi quartieri in San Giovanni in Laterano. È agosto quando partecipa alla battaglia di Campomorto al comando dell’avanguardia: conquista le prime trincee protette da molti pezzi di artiglieria e da 8 squadre di turchi e mette in fuga i nemici. Si dirige poi a Nettuno ed in una scorreria razzia 500 maiali e 100 bufali. Dopo il trionfo di Roma, si porta di nuovo a Forlì per ripristinarvi l’ordine. Salva la vita al governatore, il vescovo d’Imola, che sfugge dalla folla inferocita: tratta direttamente con i cittadini, ne calma i bollori promettendo il rientro dei confinati. Uomo di grande ardire. Il più grande condottiero della sua famiglia, dopo Niccolò.


NICCOLÒ ORSINI Il personaggio maggiore degli Orsini di Pitigliano (1442 - †1510).
Anch’egli passò la sua vita sui campi di battaglia al soldo di vari signori italiani, iniziando la carriera nelle file del condottiero Jacopo Piccinino. Fu al servizio di Firenze e condusse il suo esercito nel 1478 contro Ferdinando I.
Il sovrano napoletano aveva appoggiato la congiura dei Pazzi contro i Medici al fine di poter controllare la repubblica fiorentina. Inutilmente, perché la congiura fallì causando una guerra tra Napoli, il Papa e Firenze. Partecipa alla guerra di Ferrara contro lo stesso sovrano. È presente sotto l’insegne del Malatesta alla battaglia di Campomorto del 1482 dove viene ferito. Con l’invasione francese di Carlo VIII passa al servizio del Papa, finendo subito prigioniero all’assedio di Nola del 1494. Fuggito, torna a Venezia con il grado di capitano generale delle forze della Serenissima, distinguendosi nella conquista di Cremona.


PAOLO ORSINI Marchese di Mentana e di Atripalda, principe di Amatrice. Padre di Fabio e di Camillo, cugino di Francesco, suocero di Vitellozzo Vitelli. (†gennaio 1503)
Nel 1481 è con i napoletani e combatte i turchi nella guerra di Otranto. Nel giugno 1482 passa al soldo della chiesa e lascia la piana di Quinto con Niccolò, Giordano e Virginio Orsini ed entra in Roma; si attenda a San Giovanni in Laterano. A luglio si muove sull’Aniene ed a ponte Mammolo cattura 8 uomini d’arme e 70 fanti, che stanno per entrare in Palombara Sabina. Lo troviamo ad agosto nella battaglia di Campomorto, dove ha con Virginio Orsini il comando del secondo squadrone forte di 400 cavalli. Con il congiunto, mette in fuga 500 arcieri turchi che difendono i trinceramenti. Guida personalmente 25 lancieri. In guerra si dimostrò sempre ardito e valoroso. Celebre capitano. Uomo vanitoso e di scarso realismo incapace di concludere qualsiasi azione.
Si era acquistato una tale malevolenza che molti lo avrebbero mangiato vivo, specie gli abitanti di Città di Castello, mentre quelli del ducato di Urbino lo chiamavano ironicamente Madonna Paola.


RAIMONDO MALATESTA (†marzo 1492) Nel giugno del 1475 è a Rimini come compagno d’arme, per il matrimonio di Roberto Malatesta con Elisabetta da Montefeltro, e prende parte alle giostre organizzate per i festeggiamenti.
Nell’82 partecipa alla battaglia di Campomorto, ove combatte inquadrato nella terza schiera: ferito nello scontro, è salvato dalla cattura dall’intervento di Pietro Benci. Con la morte di Roberto, si porta immediatamente a Rimini ed assume il governo dello stato a favore di Pandolfo Malatesta.
È ucciso a pugnalate da Pandolfo Malatesta, mentre sta uscendo da un ballo in maschera, dato da Elisabetta Aldovrandini, madre del signore di Rimini e da lui probabilmente amata. Valoroso condottiero di genti d’arme.


GIORDANO ORSINI Signore di Monterotondo. Fratello di Giulio. (†marzo 1484)
Nel giugno 1482 lascia la piana di Quinto con Girolamo Riario ed entra in Roma: pone i propri alloggiamenti con Virginio, Paolo e Niccolò Orsini in San Giovanni in Laterano: vi è un inizio di rissa nel campo; si interpone con decisione e seda gli animi. Alla notizia dell’avvicinarsi dell’esercito nemico, esce dalla porta per una sortita e respinge gli aragonesi, cui cattura 30 cavalli. In agosto prende parte, agli ordini di Roberto Malatesta, alla battaglia di Campomorto, con Giacomo da Montone ha l’incarico di circondare il bosco e di occupare lo sbocco di una palude.


ANNIBALE DA VARANO Figlio di Giulio Cesare, fratello di Venanzio. (†febbraio 1503)
A giugno lascia la piana di Quinto con il padre ed il fratello Ottaviano, si accampa in San Giovanni in Laterano alle porte di Roma. Partecipa con il padre alla battaglia di Campomorto. Uomo atto alla milizia. Valente capitano.


GIOVANNI GIACOMO PICCININO (Giovanni Piccino) di Napoli. Figlio di Jacopo. (†luglio 1495)
Si distingue per il suo valore nella battaglia di Campomorto, ove combatte inserito nell’ala destra: si scontra con il duca di Melfi e gli viene ucciso il cavallo. Pur di Napoli combatte da sempre i napoletani ed è a capo di 20 lancieri. Capitano valoroso. Famosissimo.


ANTONIO MARIA DELLA MIRANDOLA (Antonio Maria Pico della Mirandola) Conte. Signore di Concordia. Figlio di Giovan Francesco, fratello di Galeotto, zio di Ludovico e di Giovan Francesco. (†marzo 1501)
Nel febbraio del 1482 ottiene la signoria di Concordia dal fratello. Nel giugno è col Papa contro Napoli al comando di 30 lance. Capitano illustre.
Parte da Quinto presso la Torre agli ordini di Girolamo Riario ed entra in Roma per porre i suoi alloggiamenti in San Giovanni in Laterano. Con l’avvicinarsi dell’esercito nemico, esce da San Giovanni per una sortita e respinge gli avversari, cui cattura 30 uomini. In agosto partecipa alla battaglia di Campomorto al seguito di Roberto Malatesta. A dicembre sempre con la Chiesa per combattere i veneziani nella guerra di Ferrara.


GIAN GIORDANO ORSINI Duca di Bracciano conte di Albe e di Tagliacozzo. Signore di Vicovaro. Figlio di Virginio, fratello di Carlo, padre di Napoleone e di Girolamo, cognato di Bartolomeo d’Alviano. Insignito dell’ordine dell’Ermellino. (1457 - †ottobre 1517)
Ha il comando di una delle 6 schiere pontificie alla battaglia di Campomorto. Con la vittoria, è l’inviato fidato per Priverno, per sorvegliare la frontiera con il napoletano. Pur se signore di animo non possedeva il talento militare del padre. Un galantuomo dal carattere bizzarro.


CHIRIACO DAL BORGO (Ciriaco Palamidesi) Conte di Mesula. Di (Borgo) San Sepolcro. (†febbraio 1512)
È al soldo di Venezia quando partecipa alla battaglia di Campomorto. Capitano di forte animo, valoroso e industrioso. Il migliore capitano di fanti nell’Italia dell’epoca.


PIERO DIEDO (Provveditore) Dall’Emilia parte in giugno e scorta Roberto Malatesta che è a capo di 2400 cavalli, 200 balestrieri veneziani. Agli ordini di Roberto prende parte alla battaglia di Campomorto.

LAZZARINO DA RIMINI (Lazzarino Lazzarini, Lazzarino degli Eleazari, Cesarino da Rimini) (†1511 ca.) Sempre al soldo di Venezia. Agli ordini di Roberto Malatesta prende parte alla battaglia di Campomorto.

GIOVANNI ANTONIO CALDORA Capitano di Ventura, (1430 ca. - †1500). Capitano di gran nome. Uomo fortissimo. Viene posto alla guardia di Ravenna con Niccolò Secco per collaborare con Carlo da Pian di Meleto a difendere Forlì dagli attacchi degli avversari, quando Roberto Malatesta si reca a Roma per affrontare le milizie aragonesi lo segue, si sposta anch’egli nel Lazio con i suoi 200 cavalli e partecipa alla battaglia di Campomorto inserito nella terza schiera.

LORENZO DA CASTELLO (Lorenzo Giustini) di Città di Castello (1430 ca. - †ottobre 1487).
Capitano di Ventura, combatte gli aragonesi agli ordini di Roberto Malatesta. Esce da Roma e, inserito nella quarta schiera, partecipa alla battaglia di Campomorto. Al comando di 400 cavalli riesce a superare la resistenza dei difensori del campo trincerato. Capitano valoroso. Il più famoso nelle armi tra gli avversari degli estensi Vitelli. Famoso anche per la sua cultura.


CARLO ORSINI Conte di Anguillara. Signore di Cerveteri. Figlio naturale di Virginio, fratello di Gian Giordano; cognato di Silvio, Antonio e Troiano Savelli. Signore di Anguillara Sabazia (†luglio 1502). Prende parte alla battaglia di Campomorto al servizio della chiesa. Valoroso, grande capitano. Degno uomo nell’arte militare. Di piccola statura e grasso.

NICCOLÒ SECCO Nel maggio ‘82 viene posto alla guardia di Ravenna con Antonio Caldora, allorché Roberto Malatesta si reca a Roma per affrontarvi le milizie aragonesi. All’inizio di agosto con il Caldora, coadiuva Carlo da Pian di Meleto a difendere Forlì dagli attacchi degli avversari. Si sposta anch’egli nel Lazio e partecipa allo scontro di Campomorto inserito nella terza schiera.

LEONE DA MONTESECCO di Montesecco. Fratello di Giovanni Battista. (†giugno 1484)
Nel giugno dell’82 viene nominato prefetto della guardia pontificia. Lascia l’accampamento sulla piana di Quinto con Girolamo Riario ed entra in Roma, ove pone i suoi alloggiamenti in San Giovanni in Laterano. Nello stesso mese, incarcera in Castel Sant’Angelo i due cardinali Giovambattista Savelli e Giovanni Colonna, sospettati di avere congiurato contro il Riario. Ad agosto partecipa alla battaglia di Campomorto.


PIETRO DA ERBA (†1493) Partecipa alla battaglia di Campomorto con i suoi balestrieri a cavallo agli ordini di Roberto Malatesta. È molte volte al soldo di Venezia, e gli è concessa una provvigione annua di 100 ducati.

RENATO DA TRIVULZIO di Milano. Signore di Formigara. Padre di Francesco, fratello di Teodoro, zio di Gian Giacomo, genero di Giacomo Torelli, suocero di Galeazzo da Birago (†dicembre 1498).
Ritorna sotto la guida di Roberto Malatesta ed affronta gli estensi di Giovanni Vitelli nei pressi di Bagnacavallo. Passa per Fano e segue il Malatesta nel Lazio, dove lo affianca nella battaglia di Campomorto. Esperto nella disciplina militare. Capitano di buona fama.


ANGELO PICCININO (Angelo Piccino) figlio di Jacopo (†1500 ca.)
I figli di Jacopo Piccinino, Francesco e Angelo, conservarono un perpetuo rancore al Re di Napoli d’aver fatto strangolare a tradimento il loro padre. Alla battaglia di Campomorto il conte Angelo volle partecipare come capitano per la Chiesa. La Cronaca Perugina non lo dice espressamente, ma annota la sua partenza in luglio con parecchie squadre, e riferisce che egli in questa guerra «se tenea per la chiesa». Al suo ritorno a Perugia, in ottobre, il Piccinino portò da Roma un breve del papa che lo ripristinava nel possesso degli antichi beni e diritti: e fu molto festeggiato dai concittadini.


CASTELLANO DA CASTELLO (Castellano Tifernate) di Città di Castello. (†1483)
Nell’aprile del 1479 è presente alla cerimonia in cui al Malatesta sono consegnate nella chiesa di Santa Colomba a Firenze le insegne del comando. Partecipa alla battaglia di Campomorto, dove combatte inserito nella terza schiera. Gettato da cavallo, viene rimesso in sella dagli uomini del Malatesta.


CASTRUCCIO CASTRACANI (Castracane Castracani) di Fano, Conte, Signore di Castelleone di Suasa. (†1488)
A primavera combatte in Romagna agli ordini di Roberto Malatesta. Poi segue il Roberto a Roma e, inserito nella terza schiera, partecipa alla battaglia di Campomorto. Rientra in Romagna alla morte di Roberto ed ha dal nuovo signore di Rimini, Pandolfo, il comando degli uomini d’arme.


GIORGIO ALBANESE (†giugno 1495)
Nell’aprile del 1479 è a Firenze per la cerimonia in Santa Colomba dove vengono consegnate al Malatesta il bastone e le insegne di capitano generale. Segue Roberto alla battaglia di Campomorto ed è inserito nella terza schiera; ha l’incarico di portabandiera del Malatesta.


ASTORGIO SCOTTIVOLI di Ancona. (†1585 ca.)
Partecipa alla battaglia di Campomorto inquadrato nella squadra di Gian Francesco da Tolentino. Capitano valoroso in guerra.


ANDREA TORUZZI da Velletri.
L’unico capitano veliterno agli ordini di Roberto Malatesta
(gli altri “nel Landi” erano Capitani Guida nelle varie zone della palude) nella battaglia del 1482 a Campomorto, non è certo se comandava parte dei 500 uomini che partirono da Velletri. Quello che sappiamo di certo è, che il capo della magir parte dei veliterni fu il colonnello riminese Niccolò Paci morto nella battaglia.
Nonno e zio dei più famosi Toruzzi che combatterono il 7 ottobre 1571 nella battaglia di Lepanto: Tullio da Velletri (il Tersenghi lo ritiene Tullio Toruzzi, ma il Gabrielli lo colloca come un Tullio De Paolis) capitano agli ordini del grande Marcantonio Colonna ebbe l’onore di comandare la Galera chiamata San Giovanni, sulla quale fece atti valorosi, e sostenne il combattimento senza arrendersi mai, finché vi trovò gloriosa morte, e Andrea Toruzzi che da Lepanto ebbe la fortuna di ritornare a casa, mentre un altro membro della famiglia: Cesare morì in quelle acque.

... ed ancora:

Cristoforo da Tolentino
Jacopo Orsini
Giacomo da Montone
Nicola Da Varano
Alessandro di Matelica
Pietro Benci
Alessandro Ottoni



Antonio Maria della Mirandola
Giovanni da Gradara
Baglione Rinalducci
Giacomo del Monte
Francesco Pesaro
Antonio Gozzadini † in battaglia
Niccolò Paci † in battaglia


Le nostre “cronache”, tipo quella di Ascanio Landi (…guidorno l’esercito per luoghi incolti…), riportano i nomi dei sei capitani veliterni che si offrirono da guida per i sentieri delle paludi, portando alla vittoria le truppe malatestiane: Ostilio Favale, Santo Santocchia, Francesco Nuticola, Innocenzo Salvati, Giuseppe Scevola, e Giovanni Lerice, quest’ultimo fu in seguito uno dei veliterni che aiutò la fuga del cardinale Cesare Borgia da Velletri nel 1495, dalle grinfie di Carlo VIII di Valois, rischiando di far mettere la città a ferro e fuoco.



Bibliografia

Moreno Montagna - “Passione Nostrana” poema cavalleresco
                                           (stampato nel giorno bisestile del 2008)

Foto e Spunti da - Wikipedia inciclopedia libera