IL PRETUNZOLO CHE TENNE IN PUGNO FIRENZE


 

GIOVANNI da Velletri. - Nato a Velletri, presso Roma, presumibilmente verso il 1180, non sono note le sue origini familiari, né si sa quando entrò nella vita ecclesiastica. Priore della chiesa lucchese di San Frediano, la prima missione diplomatica della quale risulta investito risale al 1198, quando fu inviato dal cardinale legato in Toscana, Pandolfo, presso il neoeletto papa Innocenzo III per informarlo sulla recente istituzione della Lega toscana (appena sorta fra le principali città toscane in funzione antimperiale) e per ottenere da lui lumi sulla linea da tenersi.
Negli anni immediatamente seguenti, la stima di cui godeva presso la Curia pontificia è dimostrata dagli incarichi a sovrintendere sia alla raccolta delle decime per la crociata, sia a iniziative di riforma dei monasteri toscani. Già personaggio autorevole per le precedenti esperienze, così, nel 1204 venne designato da Innocenzo come suo rappresentante a Firenze nella delicata trattativa inerente la sede vescovile di Fiesole, che i fiorentini volevano venisse trasferita nella loro città e che il pontefice al contrario intendeva lasciare dov'era.
La determinazione dei fiorentini a impedire che un secondo centro episcopale persistesse in piena autonomia nei pressi della loro città era forte, ma il papa dette disposizioni a Giovanni di essere inflessibile: o l'obbedienza ai suoi voleri o la scomunica, e addirittura la minaccia di privare Firenze del proprio territorio diocesano, che sarebbe stato smembrato e suddiviso tra le diocesi confinanti.
Giovanni svolse la missione con pieno successo, imponendo il volere di Roma e nello stesso tempo lasciando agli interlocutori una grande impressione di sé, tanto che pochi mesi dopo lo accolsero come vescovo, con una scelta certamente dettata da Innocenzo III, ma che avrebbe provocato resistenze clamorose se il designato non avesse goduto di stima presso i suoi recenti antagonisti nella trattativa.
Il debutto a Firenze di Giovanni come Presule, eletto ma non ancora consacrato, coincise all'inizio del 1205 con la solenne cerimonia dell'arrivo in città dalla Terrasanta della reliquia del braccio dell'apostolo Filippo. Il compilatore del resoconto di questa "translatio" (in Acta sanctorum, Maii, pp.15) narra come egli sia stato il protagonista della cerimonia, andando a ricevere la reliquia alle porte della città e portandola personalmente fino alla cattedrale tra ali di folla, e con al seguito il clero e il podestà.
Da "prelato" continuò a segnalarsi come il principale uomo di fiducia di Innocenzo III per gli affari in Toscana, con ricorrenti incarichi nei quali spesso era forte la valenza politica: in queste circostanze l'autorevolezza del pastore finiva col conferire di riflesso vantaggi anche al Comune di Firenze. Già molto significativo in questo senso fu, dopo la pace tra Fiorentini e Senesi del 1208, l'esito della lunga diatriba per i diritti ecclesiastici su Poggibonsi, che le diocesi di Siena e di Firenze si contendevano e che Innocenzo III fece in modo di attribuire al suo abile collaboratore.
Quando, sul finire del 1209, Ottone IV di Brunswick, di ritorno dall'incoronazione imperiale, arrivò in Toscana, su sollecitazione dal papa che era ancora in ottimi rapporti con lui, Giovanni si recò appunto a Poggibonsi ad accoglierlo, accompagnandolo poi per tutto il suo itinerario nella regione; è assai probabile che in quella circostanza Giovanni trovasse il modo di smorzare i risentimenti di Ottone verso l'insubordinata Firenze. Una volta divenuta insanabile la rottura tra il pontefice e l'imperatore, nel 1211 Giovanni fu da Roma incaricato di convincere i Pisani a rompere la fedeltà verso Ottone, questa volta però senza successo, nonostante nella trattativa fossero messi in discussione anche gli interessi che Pisa aveva in Sardegna.
Ulteriori occasioni di rivestire il ruolo di diplomatico ed arbitro si presentarono a Giovanni anche negli anni a seguire. Tra queste si segnala l'elezione a giudice per stabilire se alcuni banchieri fiorentini potessero sfruttare le miniere d'argento di Montieri, secondo un accordo stipulato con il vescovo di Volterra, o se si dovesse tener conto della forte contrarietà di Siena. In tale circostanza i Senesi, ritenendo non equo sottostare alla sentenza di un arbitro proveniente da Firenze, di fronte alle proposte formalmente concilianti di discutere la controversia in luogo neutrale tergiversarono, accampando vari pretesti, finché Giovanni nel novembre 1214 non si sentì in diritto di dichiararli contumaci, respingendo ogni loro rivendicazione e decretando la piena ammissibilità della concessione ai Fiorentini; di questo ne pagò le conseguenze il vescovo volterrano, costretto dai Senesi, dopo aver subito una spedizione militare, a versare un congruo indennizzo.
In seguito, con un breve del 13 febbraio 1215, il papa incaricò Giovanni, insieme con l'abate vallombrosano di Santa Trinita, di risolvere la vertenza che divideva Pistoia dal proprio vescovo Soffredo, ed anche in questa circostanza, il fatto che due autorevoli personaggi di Firenze avessero un ruolo decisivo nelle faccende interne dell'altro Comune, destò molto malcontento, senza che ciò peraltro invalidasse il successo dell'iniziativa.
Alla morte di Innocenzo III, Giovanni sembrò perdere, con l'avvento al soglio pontificio di Onorio III, il ruolo di principale consigliere e strumento del Papato per gli affari toscani, forse anche perché la sua condotta era stata ritenuta in qualche misura censurabile per non essere stato in grado di indirizzare la città di Firenze a schierarsi, secondo i voleri romani, dalla parte di Federico di Svevia.
Sentitosi escluso, Giovanni compì allora un atto di singolare insubordinazione, arrogandosi la missione che era stata affidata al cardinale legato Ugolino di Ostia e convocando a Firenze nel marzo 1217 un concilio provinciale nel quale si proponeva di promuovere la nuova crociata in Terrasanta e nello stesso tempo di incitare alla fedeltà verso lo Svevo.
Per questa sua fretta nel convocare un concilio, Onorio III gli rimproverò il grave abuso, limitandosi a imporgli le scuse a Ugolino e di riconoscerne la superiore autorità.
Giovanni si piegò, ma l'atteggiamento di Firenze verso il Papato restava conflittuale, al punto di farli incorrere nell'interdetto per aver promulgato e messo in applicazione una legge che disponeva la perdita di ogni diritto ereditario sui beni familiari per il clero. Onorio III impose allora a Giovanni, nell'agosto 1218, pena scomunica che nessuno potesse essere ordinato sacerdote a Firenze fino all'abrogazione di tale norma.
Rispettando la vertenza, Giovanni tornò a godere la piena stima pontificia e ricevette nel 1219 il titolo di Legato, che gli conferiva pro-tempore un grado di preminenza sugli altri vescovi toscani. In questa veste fu di nuovo impegnato nel maggio 1220 a risolvere delicate questioni a Pisa (per la controversia tra l'arcivescovo e il suo Capitolo, e le conseguenze dell'impresa di Ubaldo Visconti in Sardegna), e a Volterra (dove appianò con una sentenza arbitrale le liti dei vescovi di Volterra, e di San Gimignano); delicati compiti arbitrali svolse poi anche a Prato nel 1221 e a Pistoia nel 1222. Se in tali circostanze è da sottolineare la ritrovata piena sintonia tra Papato e Comune di Firenze, entrambi interessati a reprimere l'intraprendenza (venata di anticlericalismo) dei fautori toscani dell'imperatore, non c'è dubbio che Giovanni abbia svolto per questa comunione d'intenti il ruolo di abile tessitore. Così nel 1222, quando Pisa fu sconfitta dalla coalizione guelfa guidata da Firenze, a nome di Onorio III, Giovanni reclamò la restituzione al vescovado di Lucca dei castelli che i Pisani avevano sottratto e la destituzione di Ubaldo Visconti da Podestà, obiettivi pienamente condivisi dallo schieramento guelfo toscano capeggiato da Firenze. Di fronte alle aggressive risposte dei Pisani, che fecero imprigionare i suoi emissari, Giovanni replicò con la scomunica e dichiarando eretico Ubaldo Visconti nel novembre 1223.
Pare invece che non abbia preso posizione quando i Fiorentini, malgrado la contrarietà pontificia, riuscirono infine a ottenere il trasferimento all'interno delle proprie mura della sede vescovile di Fiesole (1228), benché a questa prospettiva Giovanni si fosse già opposto: ma i tempi erano cambiati e lo stesso Giovanni poteva valutare come un accrescimento del proprio ruolo la subordinazione di fatto della diocesi fiesolana a Firenze, mentre lo stesso pontefice Gregorio IX, da poco eletto, premeva ora per mantenere buoni rapporti con la città toscana in previsione del conflitto con l'imperatore. Del resto, ormai anziano, (siamo oltre il 1250) Giovanni non risulta più essere stato chiamato per incarichi esterni alla sua diocesi.
Come pastore di anime Giovanni si era impegnato soprattutto contro il pericolo costituito dal diffondersi di strane eresie; in questa prospettiva vanno annoverati eventi come lo stesso arrivo della reliquia di San Filippo, la promulgazione dello statuto comunale del 1206 (forse ispirato da Giovanni) che decretava per gli eretici il bando e la confisca dei beni, l'inizio dell'attività inquisitoriale, nei primi tempi del tutto affidata al controllo vescovile, l'accoglienza e la concessione di edifici per la dimora e per il culto agli ordini domenicano e francescano (malgrado sembri che Giovanni mostrasse una certa diffidenza verso Francesco d'Assisi, che arrivò a Firenze nel 1221), e il riconoscimento del miracolo del vino trasformato in sangue avvenuto nella chiesa di Sant'Ambrogio il 30 dicembre 1229.
In qualità di amministratore del patrimonio della diocesi è invece da ricordare la fermezza con cui operò per recuperare dalle usurpazioni terre sulle quali il vescovado vantava diritti giurisdizionali; per riaffermare su castelli e comunità rurali la propria autorità non esitò a entrare in lite con alcune potenti famiglie come gli Scolari, i da Castiglione e gli Adimari, stipulò nuovi patti con i suoi sudditi (come quelli conservatisi con Borgo San Lorenzo del 1213) e nei luoghi di sua giurisdizione introdusse l'ufficio del podestà; all'opera di recupero aggiunse un numero notevole di acquisizioni ex novo, dando vita a una strategia di espansionismo signorile nel contado fiorentino in parallelo e non in opposizione al Comune, dal quale ebbe anzi spesso per queste iniziative l'aperto appoggio e talvolta (come nel caso dell'acquisto del castello di Monte di Croce, ceduto dai conti Guidi nel 1227) il supporto finanziario. Questo sostegno è del resto comprensibile, giacché il Comune, nel ruolo di tutore delle prerogative vescovili, riusciva anche in questo modo a sviluppare una propria forte ingerenza su parti del comitato fino ad allora in dominio di stirpi signorili.
Giovanni morì il 14 luglio 1230 e fu sepolto all'interno del battistero fiorentino in un sarcofago (vedi testata) tardoromano, detto "della fioraia" per le figure scolpite nel bassorilievo.

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